Bertolt Brecht

"... sono coloro che non riflettono, a non dubitare mai
non credono ai fatti, credono solo a se stessi..."

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giovedì 6 novembre 2014

[Areaglobale] 16 novembre 2014 ore 16 - Incontro con il giornalista di Odessa Sergey Diachuk - proiezione di una video-inchiesta

Dalla costruzione delle proteste
di piazza Maidan, al massacro di Odessa,
alla guerra civile.
La vicenda vista da dentro il conflitto.


Domenica 16 novembre 2014 - ore 16


Incontro con il giornalista di Odessa
Sergey Diachuk


proiezione di una video intervista realizzata 
dalla Carovana Antifascista 
ad un militante internazionalista


Centro Culturale e di Documentazione Bertolt Brecht
Piazzetta San Gaetano, 1
Schio (Vi)

La crisi Ucraina altro non è che il tentativo da parte occidentale di incamerare mercati e risorse per poter meglio affrontare una crisi pesantissima. 
Tentativo che si scontra con la volontà russa di non concedere nessuno spazio alle mire egemoniche commerciali e militari del blocco occidentale.
In mezzo a questa "guerra", la situazione creata ad arte e già sperimentata in Jugoslavia di creare un conflitto etnico - con tutte le nefandezze del caso, come la strage di Odessa - per cercare di deviare l'opinione pubblica dalla reale portata e dai reali obiettivi.
Una cosa certa è la sofferenza che un popolo si sta caricando sulle spalle, sopportando la presenza di combattenti fascisti stranieri sul proprio suolo, in nome di una democrazia Usa-Europea, che, mentre arma e foraggia carnefici, predica pace e democrazia.


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martedì 14 ottobre 2014

[Primomaggio - Areaglobale] L'arroganza dei padroni non ha limiti, solidarietà alle lavoratrici della San Camillo di Vicenza.


Ieri mattina 13 ottobre le lavoratrici della casa di riposo San Camillo di Vicenza, coadiuvati dal loro sindacato USB, hanno presidiato l'ingresso dell'istituto per impedire l'accesso ai rappresentanti della cooperativa vincitrice dell'appalto (al massimo ribasso) per la gestione dell'ospizio, la cooperativa Bramasole di Padova, dal momento che questi oggi venivano al San Camillo con l'intento di indurle a firmare dei contratti di lavoro individuali capestro (il taglio di circa un terzo delle ore di lavoro delle dipendenti, portandole da 38 a 25 ore settimanali con una perdita salariale mensile intorno ai 350 euro e la loro totale disponibilità alla flessibilità dell'orario di lavoro ed a svolgere lavoro supplementare privandole in questo modo del proprio diritto ad avere una vita familiare e privata). 
I dirigenti della cooperativa, vista la malparata, hanno immediatamente chiamato le forze dell'ordine, che sono arrivate numerose dopo circa un'ora. Dopo numerosi tentativi da parte delle lavoratrici e dei rappresentanti sindacali di far desistere la polizia dalla volontà di ricorrere all'uso della forza per spazzare via il presidio, essa, resasi conto che neanche le ripetute minacce di denunciare i presenti avrebbero fatto venir meno la loro determinazione e motivazione nel proseguire la lotta, allora è intervenuta. 
Gli agenti come un caterpillar hanno sfondato il blocco travolgendo le dipendenti ed i delegati sindacali, durante questa operazione repressiva alcune lavoratrici sono state strattonate e scaraventate addosso ad un muro, altri manifestanti hanno subito calci e pugni. Una lavoratrice si è sentita male per uno sbalzo di pressione ed è stata soccorsa da una infermiera dell'ospizio. 
Un poliziotto della Digos ha pure gridato verso le lavoratrici di andarsene dall'Italia e di tornarsene ai loro paesi di origine (la stragrande maggioranza di loro è immigrata provenendo da tutto il mondo). 
Di positivo c'è che la cooperativa si è resa disponibile, a parole, a discutere alcune richieste dei lavoratori. 
Oggi la trattativa continua e vi terremo aggiornati.

Piena solidarietà alle lavoratrici in lotta.

Le compagne ed i compagni di Areaglobale
14 ottobre 2014

Ben altro che pane e lavoro ci hanno portato, davanti alle fabbriche schierano il carro armato………..è guerra tra il cane che sfrutta e l’uomo sfruttato……..eppure qualcuno ha creduto alla pace con i dubbi, e adesso ci stanno opprimendo e rendono i tempi più neri e più cupi. Se oggi nessuno ha timbrato è perché non serviva e nelle galere han portato chiunque reagiva. Peccato che il tempo sia stato fissato da loro invece che nascere prima dal nostro lavoro……….Se il tempo è fissato da loro non stare a sedere. Non vincono non vinceranno non hanno domani…….Il prossimo fuoco sarà ravvivato da noi nel posto nel tempo e nel modo fissato da noi, nessuno potrà soffocarlo diventerà immenso, mi sembra già di vederlo se solo ci penso. Non vincono non vinceranno non hanno domani, la forza è nel puntello impugnato da oneste fortissime mani.” 
Da una canzone di P. Bertoli dal titolo “Non vincono”.

lunedì 13 ottobre 2014

[Areaglobale - Primomaggio] Condannano i lavoratori e ci danno il Jobs ACT

Esprimiamo la nostra solidarietà ai due compagni e delegati sindacali, di cui uno attivista del nostro movimento politico Areaglobale, accusati nel luglio del 2007 di resistenza contro lo sgombero della sede sindacale dell’USB di Vicenza, condannati giovedì scorso in primo grado dal tribunale borghese della città berica uno ad 8 mesi e l'altro a 2 mesi.
 
Questo processo, come tanti altri, non è stato un processo contro compagni rei di aver violato il codice penale seppur borghese, ma contro chi in questo stato borghese si pone in termini non compatibili.
 
Anche questa volta la giustizia borghese mostra il suo vero volto: colpire i lavoratori, colpendo sul nascere ogni possibile sviluppo di forma di opposizione a questo sistema ed impedire ai lavoratori agibilità politica e sindacale, mentre difende senza soluzione di continuità gli interessi dei padroni.
 
Non esistono processi normali e processi politici, ma processi contro chi viola delle leggi e chi per le sue idee e per la sua pratica non è compatibile con questo sistema capitalista.
 
La differenza non sta nei vari articoli del codice penale o nella pericolosità vera o presunta degli imputati, ma nella capacità espressa da quest’ultimi di contrapporsi allo stato borghese che li giudica.
 
Il giudizio, la condanna, la pena è erogata in base alla capacità che il “reo” ha, secondo giudici e apparato repressivo, di essere incompatibile con questo sistema, di essere potenzialmente o realmente un esempio di contrapposizione alle leggi soprattutto non scritte che garantiscono lo sfruttamento quotidiano in fabbrica e fuori dalla fabbrica.
 
Niente di nuovo sotto il cielo della dittatura borghese.
Niente di nuovo sotto il cielo dello sfruttamento contro la classe lavoratrice.
 
Ci vien da pensare e da dire che in questa fase l’unica cosa che possiamo fare è esprimere la nostra più interna solidarietà a questi compagni. La nostra più totale appartenenza a pratiche di lotta che si adoperino totalmente per mettere in crisi questo sistema.
 
Ci vien da dire e da pensare che non sappiamo quando una nuova fase, diversa, molto diversa da questa potrà essere intrapresa, ma quando ciò accadrà sicuramente anche se noi non ci saremo, di tutto questo la nostra classe si ricorderà, e assieme a noi che adesso per questo stiamo lottando, saprà usare quella giustizia, anche questa non scritta, che è la nostra e in cui ci riconosciamo.
 
La repressione non ci fermerà.
La nostra più ferma e forte solidarietà ai due compagni.
 
Chi lotta non va mai abbandonato. 

Le compagne ed i compagni di Areaglobale

[Areglobale] Perchè ISIS ha preso di mira Kobané?


Quando gli alleati occidentali avevano chiesto ad Ankara di avviare l'operazione terrestre contro i distaccamenti dello Stato Islamicom la Turchia si é trovata in una situazione delicata. Gli djihadisti del “califatto”danno l'assalto alla città siriana di Kobané ed Ankara non vuole portare soccorso ai difensori della città. Perché?

Kobané non è semplicmente una città della provincia siriana vicino alla frontiera turca. Ospita il quartiere gneraledel Comitato Superiore dei Curdi (DBK) “il governo provvisorio” dei curdi in Siria. Questo organsimo riunisce due organizzazioni maggiori: il Consiglio nazionale Curdo (KNS) ed il Partito dell'Unione Democratica (PYD), tutti e due favorevoli ad una autonomia curda in Siria.
Il KNS é uno strenuo sostenitore del rovesciamento di Bashar al-Assad, mentre il PYD ha ricevuto da quest'ultimo (ASSAD), secondo gli esperti, il sostegno e l'avallo per questa autonomia nel Nord Est del paese. I dirigenti del PYD lo negano e dichiarano che il loro partito, è una terza forza indipendente. Le forze armate del PYD, le Unità di Protezione del Popolo Curdo (YPG), combattono nelle “loro regioni” non solo gli djihadisti, ma anche le unità dell'Armata Siriana libera.

Un altro problema è legato al fatto che la Turchia considera il PYD come filiale siriana del PKK fuorilegge per separatismo. In un recente intervento il Presidente della Turchia Erdogna ha dichiarato apertamente “Per noi il PKK é la stessa cosa di ISIS”.

Lo stesso atteggiamento riguarda naturalmente il PYD. Durante lunghi anni i servizi segreti turchi hanno fatto di tutto per eliminare i partigiani della sinistra dell'avanguardia del movimento di liberazione nazionale curdo in Siria.

E' stato segnalato in una relazione del PYD a fine 2013, che oltre ad azioni sovversive indirette,questi Servizi avevano organizzato numerosi attacchi contro le unità YPG, ricorrendo all'aiuto di “mercenari” apparteneneti ad altri pariti curdi.

A Kobané uno scontro è scoppiato trail KNC ed il PYD proprio nel momento dell'attacco di ISIS contro la città. Secondo i dirigenti del KNC, i comandanti delle YPG hanno rifiutato l'offerta di aiuto milityare da parte dei loro distaccamenti.
Però secondo il PYD sono stati gli alleati stessi a rifiutarsi di aiutare i difensori della città.
La seconda versione appare la più veritiera.

Il capofila dle Kurdistan Iracheno Massoud Barzani ha giocato un ruolo attivo nella creazione del Consiglio Nazionale Curdo. Non condivide le idee del PYD ed auspica mettere sotto la sua influenza i suoi compatrioti siriani. Mantenendo al contempo delle buone relazioni con la Turchia.

Durante l'assedio di Kobané ha più volte dichiarato di seguire da vicino la situazione ed ha chiesto di aiutare le formazioni curde.
Sembra che un numerosi problemi con la Turchia spariarano se il posto del PYD e del suo dirigente Salem Muslim sarà occupato nel Kurdistan Siriqano dell'Ovest da un alleato fedele al Consiglio Nazionale Curdo.
Nel frattempo gli alleati del Pyd lasciavano Kobané ed i negoziati di Salem Muslim ad Ankara si sono risolti in una sconfitta.
La politica si oppone all'introduzione di truppe turche ed alla cooperazione con l'Armata Libera Siriana. La parte turca non ha accettato la sua proposta di aprire un punto di passaggio frontaliero al fine che le YPG possano beneficiare di un aiuto umanitario e militare.

La polizia turca arresta decine di combattenti del YPD che cercano di passare la frontiera ed i Comandi militari dichiarano che non lasceranno entrare in Turchia i “combattenti delle YPG” se Kobanè cade.
Il popolo è indignato. Sembra che il numero delle vittime durante gli scontri in Turchia superino già oggi quelle dei difensori di Kobané.

E' poco probabile che i carri armati turchi passino “ la frontiera” il comando dlle forze del “ Califatto” ha ben scelto il bersaglio. A kobané gli djihadisti sranno al sicuro: molti pensano che qui saranno utili. Una nuova “teoria del complotto”?. Forse si, Forse no


12.10.2014
La voce della Russia

Tratto da Almanar, gruppo libanese di informazione legato ad Hezbollah

venerdì 10 ottobre 2014

[Areaglobale] 18 ottobre 2014: TERRA, PACE E DIRITTI PER IL POPOLO PALESTINESE FERMIAMO L'OCCUPAZIONE - incontro di approfondimento

L'aggressione israeliana contro il popolo palestinese continua. Dalla pulizia etnica del 1948, ai vari massacri di questi decenni, dal muro dell'apartheid, all'embargo illegale imposto alla striscia di Gaza, ai sistematici omicidi mirati, per finire con il fallito tentativo di sterminio perpetrato in questi ultimi mesi sempre a Gaza causando piu' di 2000 morti ed oltre 10.000 feriti.

Sabato 18 ottobre 2014 - ore 17

INCONTRO DI APPROFONDIMENTO
sulla questione palestinese

Centro Culturale Pablo Neruda
via Stradella, 57/d
Ronchi di Marina di Massa (MS)

per il diritto all'autodeterminazione
e alla resistenza del popolo palestinese;
per mettere fine all'occupazione militare israeliana;
per la liberta' di tutti i prigionieri politici palestinesi detenuti nelle carceri israeliane;
per lo stop all'embargo a Gaza e per la riapertura dei valichi;
per porre fine alla costruzione degli insediamenti nei territori palestinesi.
 
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giovedì 9 ottobre 2014

[Areaglobale] Il Che Guevara, un esempio incancellabile


Il Che Guevara, un esempio incancellabile

Mercoledì 8 ottobre 2014, scritto da: Delegazione di Pace della FARC-EP

Grazie a lui sappiamo che possiamo essere molto grandi ed arrivare ai gradini più alti, servendo umilmente la causa dei popoli”.

Quarantasette anni fa uccisero il Che Guevara in Bolivia. La raffica con la quale gli troncarono la vita, cercava molto più che afferrare l’esistenza del Comandante guerrigliero, pretendeva di annichilire il simbolo della lotta rivoluzionaria del terzo mondo, strappare alla radice il sogno di uguaglianza e giustizia di milioni e milioni di abitanti del pianeta, dimostrare che il sogno della liberazione dei popoli non era altro che una chimera irraggiungibile.

Un’aspirazione senza dubbio troppo ambiziosa, estranea a qualsiasi possibilità di materializzarsi nei fatti. Il Che Guevara non era semplicemente il giovane medico argentino ubriacato dal sogno di servire il genere umano nel modo più disinteressato possibile. Non era nemmeno solo il ragazzo affascinato che si imbarcò nella rischiosa avventura di unirsi ad una sollevazione in armi in un paese che non conosceva nemmeno.

Lo studente Ernesto Guevara non si trasformò, con il suo trasferirsi dall’Argentina ai Carabi, nell’araldo prescelto dall’incontenibile eruzione delle forze sociali che ardevano a quelle latitudini. Le sue frasi non gli appartennero in modo esclusivo. I suoi propositi superarono i suoi sogni. La sua grandezza deriva de essersi trovato, senza saperlo, nel luogo e nel momento giusti per incarnare con la sua voce e le sue azioni il sentire dell’esplosivo anticonformismo continentale.

Le terre dell’America spagnola erano popolate da milioni di indigeni, forse in un numero più alto della popolazione dell’intera Europa. E furono abitate da civiltà aborigene sorprendenti sprovviste del desiderio del profitto e dell’ansia dello sfruttamento. Quel mondo finì sconvolto e distrutto dall’arrivo dei conquistatori. Dopo sarebbero venuti il colonialismo e l’indipendenza che assicurarono le più oppressive delle disuguaglianze e ingiustizie.

Encomenderos, possidenti, latifondisti, gamonales, vescovi, generali, dittature sanguinarie, guerre civili, miserabili cessioni della sovranità della patria, compagnie straniere e banchieri, violenza implacabile contro chi si opponeva allo sfruttamento, massacri, incarcerazioni, persecuzioni, colpi di Stato e governi corrotti, una dopo l’altra crebbero e prosperarono le diverse piaghe che distrussero i nostri popoli decennio dopo decennio e secolo dopo secolo.

Fino a che, a metà del XX secolo, emerse la ribellione in accordo al grido di indipendenza e giustizia che palpitava nelle colonie europee dell’Asia e dell’Africa. I popoli del mondo intero si sollevavano per scuotersi dal giogo imperialista. Li incoraggiava l’esempio vittorioso delle classi lavoratrici di Russia e Cina. Nella Nostra America sorgeva l’energico grido di “ora basta!”, lo stesso che, nel suo camminare senza meta, conobbe direttamente il giovane medico Guevara.

In Colombia, la falange conservatrice esercitava l’orribile carneficina contro i resti dei seguaci gaitanisti in piena fuga dopo l’assassinio del loro leader, al tempo che faceva sue le direttive anticomuniste della Casa Bianca la quale, con il suo nuovo strumento politico della OSA, si impegnava ad impedire con il fuoco e con il sangue, l’esplosione popolare per il cambiamento. Dopo il suo fugace passaggio attraverso il nostro paese, il giovane Guevara registrò la ripugnanza che gli dette il suo regime.

Aveva conosciuto le situazioni angosciose della classe operaia boliviana, degli indigeni, dei lavoratori di Cile e Perù, così come dopo avrebbe avuto l’opportunità di conoscere la gravissima situazione sociale dei popoli centroamericani e la perversione dell’imperialismo con il suo intervento in Guatemala. Subì sulla propria pelle la persecuzione di coloro che cedettero nella nobiltà della causa di Jacobo Arbenz. E dai cubani seppe ciò che rappresentava Batista.

Il crogiolo della lotta guerrigliera a Cuba, il fervore del popolo felice per la vittoria e disposto a tutto pur di conservare la sua libertà conquistata, il suo rapporto internazionale con le lotte antimperialiste, la scuola di indignazione rivoluzionaria che rappresentava la mattanza nordamericana contro il popolo del Vietnam e infine la singolare situazione mondiale che stava accadendo davanti ai suoi occhi, fini per fare del Che il miglior interprete della ribellione universale contro lo sfruttamento capitalista.

E per questo cadde come un umile soldato della rivoluzione, di fronte alle truppe della dittatura boliviana, sotto il fuoco e gli ordini della CIA e del Pentagono. Opulenti proprietari e commercianti, padroni di uno schiacciante potere militare, i nordamericani, ugualmente a tutti gli imperi delle epoche passate, puntano ancora a fermare l’avanzata dei popoli con le armi del crimine e della propaganda. Credono così, ingenuamente, di uccidere anche le idee.

E si sbagliano completamente. Perché le idee sono solitamente espresse da uomini e donne individualmente, ma non appartengono a loro. Le idee cercano e scelgono, secondo le circostanze l’uno o l’altra per prendere forma di frasi o discorsi, in un inesauribile movimento nato dalla lotta tra gli interessi di classe che si scontrano. Può accadere che queste idee, in alcuni esseri, raggiungano un maggiore sviluppo ed espressione, come di fatto succede, ma ciò non può fare negare la sua fonte.

Le idee politiche appartengono a grandi collettivi umani, alle classi sociali in lotta. Nascono da quella lotta e in essa. Uomini come il Che Guevara, come Bolívar, Cristo o Spartaco, incarnano in un momento preciso le idee dei loro tempi, riescono ad interpretare come pochi dei loro contemporanei il senso che acquisiscono, nelle loro epoche, aspirazione eterne come la giustizia, ala libertà, la pace, l’uguaglianza, l’indipendenza. Ciò li rende unici, ma non imprescindibili.

Le lotte continuano, sempre, anche senza di loro. E allora, queste grandi personalità acquisiscono la forma di paradigmi, di comportamenti esemplari da imitare. Questo avviene perché è il loro compito nella storia è quello di essere come fari nella nebbia che illuminano ed indicano la rotta giusta, quella degli eroi che ci ispirano e incoraggiano nei momenti di debolezza o confusione. Credendo di averli sterminati, gli oppressori forniscono ai popoli icone e simboli indistruttibili.
 
È per questo che ricordiamo il Che Guevara e celebriamo la sua memoria ogni 8 ottobre, giorno del guerrigliero eroico. Perché il suo esempio incancellabile perdurerà nelle menti dei popoli per l’eternità. Perché ci invita ad imitarlo tutti i giorni perché la sua testimonianza è una scuola per le difficoltà che viviamo. Perché grazie a lui sappiamo che si può essere molto grandi ed arrivare fino al gradino più alto, servendo umilmente la causa dei popoli.

Montagne della Colombia, 8 ottobre 2014.

http://pazfarc-ep.org/index.php/noticias-comunicados-documentos-farc-ep/estado-mayor-central-emc/2205-el-che-guevara-un-ejemplo-imborrable




lunedì 8 settembre 2014

[Areaglobale] CAMPAGNA INTERNAZIONALE A SOSTEGNO DEI LAVORATORI TURCHI DELLA FABBRICA TESSILE OCCUPATA E AUTOGESTITA KAZOVA (ISTANBUL)



CAMPAGNA INTERNAZIONALE A SOSTEGNO DEI LAVORATORI TURCHI DELLA FABBRICA TESSILE OCCUPATA E AUTOGESTITA KAZOVA (ISTANBUL)


Dal 12 al 21 settembre 2014 i lavoratori Kazova saranno in Italia

Ecco le tappe del tour:

Milano 12.09, h 18
Rimaflow - via Boccaccio, 1 Trezzano sul Naviglio (MI)
Verona 13.09, h 18
Metropolis Cafè - via Nicola Mazza, 63a, Verona
Schio 14.09, h 17
Palazzo Fogazzaro - via Pasini, 44 Schio (VI)
Torino 15.09, h 20
Radio Blackout - via Cecchi 21/a, Torino
Pontedera 16.09, h 21
sede Cobas - via Pisacane, 6  Pontedera (PI)
Pietrasanta 17.09 h 21
sala Croce Verde - via Capriglia, 5 Pietrasanta (LU)
Firenze 18.09 h 21
CPA - via Villamagna, 44 Firenze
Roma 19.09 h 18
Communia Roma - via dello Scalo di San Lorenzo 33, Roma
Fuori mercato, produzioni a sfruttamento zero: tra fabbriche recuperate e autogestione conflittuale
con Andres Ruggeri (Arg), RiMaflow, Catherine Samary e Fralib (fabbrica recuperata fralib Marsiglia), Kazova, SoS Rosarno, OfficineZeri...  
Napoli 20.09 h 18
spazio ME-TI - viaAtri, 6 Napoli

***
La Kazova è una fabbrica tessile in Turchia sita vicino a Istanbul.

La vicenda di questa manifattura tessile si colloca all'interno della crisi generale di sovrapproduzione del sistema capitalistico, contesto in cui, per la Kazova, la concorrenza dei prodotti provenienti dall’Asia ha giocato un ruolo determinante, in particolare nel cosiddetto miracolo economico turco degli ultimi dieci anni. Il fenomeno riguarda molte manifatture, anche in altri Paesi, soprattutto europei.

La Turchia ha sperimentato, e sta ancora sperimentando, in particolar modo negli ultimi dieci anni, la via capitalista per vedere la luce in fondo al tunnel di una crisi i cui responsabili sono coloro che ne trarranno i maggiori vantaggi.
Ciò ha comportato una compressione costante del salario e una produttività ottenuta negando sempre più il rispetto minimo per i lavoratori. Ritmi infernali con una elevatissima percentuale di incidenti sul lavoro, molto spesso mortali. La tragedia della miniera di Soma è solo l'ultimo eclatante esempio data la sua enormità. Spesso si registra la morte sul lavoro di minorenni di 13 e 14 anni.

Un restringimento sostanziale dei livelli sindacali ha fatto da apripista ad una politica marcatamente antioperaia e filo padronale, per poter sfruttare al meglio e attirare capitali stranieri in un paese che da tempo chiede di entrare nell'Unione Europea.

La Turchia ha una lunga tradizione di soppressione e di restrizione dei diritti dei lavoratori, già diffusa ai tempi della dittatura militare degli anni '80 ed accentuata con l'attuale AKP (Giustizia e Sviluppo) del governo Erdogan dal 2002.

La Turchia. Esempio emblematico di come il fascismo sia una faccia del capitalismo: i diritti di organizzazione e di sciopero sono stati pesantemente limitati, e tutti i diritti dei lavoratori vengono violati su larga scala in condizioni di lavoro insicure e con la totale impunità per i proprietari di società che realizzano profitti, mentre i lavoratori stanno sempre più impoverendosi e morendo.

Oggi in Turchia registriamo la settimana media lavorativa più alta in Europa (53 ore), il tasso più basso di assenze per malattia (4.6 nel 2013), un salario netto di poco superiore ai 300 euro mensili, e contestualmente il primo posto in Europa per morti sul lavoro (6-7 morti al giorno).
Questo è il miracolo economico turco degli ultimi dieci anni.

L’attacco padronale alla Kazova inizia a gennaio del 2013, quando i padroni della fabbrica tessile, i fratelli Somuncu, fanno recapitare dai loro avvocati ai 94 lavoratori la lettera di licenziamento. Lettera arrivata dopo quattro mesi in cui i lavoratori non percepivano né lo stipendio mensile né gli straordinari.
La motivazione del licenziamento: i lavoratori erano rimasti assenti dalla fabbrica per tre giorni senza giustificazione. Durante la notte stessa, ad opera dei proprietari, dalla fabbrica spariscono 100.000 maglioni e 40 tonnellate di filati. Le macchine per la produzione, impossibili da spostare così in fretta, vengono messe fuori uso dal padrone e dai suoi sgherri.

Alcuni di loro, all’inizio 12, capendo che la legge non avrebbe mai salvaguardato la loro situazione, decidono di mettere in atto l’unico comportamento che un lavoratore in quelle condizioni può praticare. Resistere.
Supportati dal Fronte del Popolo (HALK Cephesi), il 28 aprile decidono di occupare la fabbrica e impiantano una tenda - che diventerà il simbolo della loro resistenza - davanti alla fabbrica. Nelle settimane successive verranno attaccati e aggrediti dai fascisti al soldo dei padroni, e dalla polizia turca.

Per prima cosa i lavoratori cercano di vendere le macchine rimaste in fabbrica, in modo da compensare la razzìa subita da parte dei padroni, ma vengono essi stessi accusati di furto e attaccati dalla polizia: sono quattro gli arrestati.
Hanno capito e soprattutto sperimentato che tutto era contro di loro, ma che avevano la solidarietà e la vicinanza di altri lavoratori di fabbriche vicine, che nel frattempo si stava manifestando nei loro confronti. Da sottolineare lo scambio culturale di lotta e di solidarietà, ma soprattutto di internità con il movimento di Gezi, al quale i lavoratori sottolineano di essersi ispirati per proseguire la lotta, ricavandone una enorme dose di coraggio e di determinazione.

Decidono quindi di riprendere la produzione con le poche cose che ancora si trovavano in fabbrica.
Il primo lotto di maglie di loro fabbricazione viene inviato nelle carceri, da dove erano partite le lettere di solidarietà nei loro confronti.
I lotti successivi sono venduti al caffè del Kolektif 26A a Taksim e ai numerosi forum Gezi, sorti in tutta la città dopo i noti fatti di Gezi Park. I soldi ricavati da queste vendite vengono impiegati per riparare le macchine sabotate dal padrone.
Contemporaneamente, per rendere la loro lotta sempre più visibile, organizzano svariati forum, e riescono nel mese di settembre a proporre persino una sfilata dal titolo La moda di resistenza, a cui partecipano personaggi pubblici come attori, scrittori, accademici, gruppi musicali.
I lavoratori della Kazova hanno compreso fin da subito l’importanza dell’estensione della lotta e con lo slogan Maglioni alla portata di tutti hanno cercato immediatamente contatti anche fuori della Turchia stringendo rapporti di solidarietà, ma anche scambiando prodotti con cooperative autogestite, in particolare in Grecia con la Vio.Me e la cooperativa basca Mondragon.

Di recente, i lavoratori della Kazova hanno vinto una piccola battaglia in tribunale, in quanto a titolo di risarcimento per i loro salari persi sono stati loro restituiti i macchinari. Poca cosa, ma che comunque hanno subito immesso nel loro ciclo produttivo. Parità salariale per tutti e sei ore di lavoro giornaliero.

Nella centrale zona Sisli di Istanbul, i lavoratori della Kazova hanno aperto un piccolo negozio con valenza di centro culturale, sulla cui facciata risalta una scritta: DIREN! KAZOVA (Resisti! Kazova).
Il pavimento è fatto di sanpietrini, alcuni colorati di bianco a formare alcune scritte sul pavimento: “1° Maggio”, “Resisti Kazova”, “La rivoluzione è viva”.
Una pavimentazione da strada che dà il senso di resistenza, come le magliette, i maglioni messi negli scaffali, un senso di sfida, un senso di equità, un senso di lotta.


Subito salta agli occhi il diverso atteggiamento che ha animato questi lavoratori, questa esperienza, se rapportato ad altre fabbriche in Turchia ma anche in altri paesi, soprattutto in paesi a capitalismo avanzato, Italia in primis.
Lo slogan dei lavoratori Kazova “Occupare, Resistere, Produrre” (mutuato dall'esperienza argentina) non è sinonimo di chiedere riforme del lavoro, patteggiare ristrutturazioni, scrivere lettere angosciate a papi, sindaci, ministri, governatori regionali, elemosinare cassa integrazione.

Occupare per Resistere, Resistere per Produrre, non per realizzare profitti che, come spiegano i lavoratori, non è il loro obiettivo. Ottenere condizioni di lavoro e paga migliori senza chiederle ma prendendosele, produrre scambio di idee e contatti di solidarietà rivoluzionaria, produrre lotte per il controllo dei mezzi di produzione.
Un altro mondo, un’altra concezione del mondo, un'altra comprensione della realtà, soprattutto in chiave prospettica, da parte di lavoratori che hanno pienamente capito il loro ruolo dentro il sistema capitalista.

In un momento come quello attuale confrontarsi con simili esperienze, da noi impensabili, nemmeno in momenti in cui la classe lavoratrice aveva un potere contrattuale enormemente più alto, non solo è importante come bagaglio politico, ma soprattutto mette sul tavolo della discussione una delle prassi che da sempre ha contraddistinto l’agire, il rivendicare, il patteggiare dei lavoratori. Specialmente in una prospettiva futura, sapendo quali saranno le esigenze dei capitalisti e quali metodi useranno. Niente di nuovo, ma con una drasticità e durezza che aggiungeranno sofferenza, espulsione dal ciclo produttivo, immiserimento per milioni di lavoratori e proletari.

I lavoratori della Kazova stanno dimostrando che difronte alla chiusura della propria fabbrica non esiste solo la strada della rassegnazione o del ritorno a casa ma esiste quello della lotta. Per questo la loro presenza in Italia sarà un interessante momento di confronto anche con chi ha avviato pratiche di occupazione, autogestione e recupero del proprio luogo di lavoro di fronte alla chiusura imposta dai padroni.
Consapevoli che il movimento dei lavoratori in Italia vive un profondo arretramento da almeno 30 anni, questo non toglie che l’incontro con i lavoratori turchi serva innanzitutto a riconoscersi come parte di un'unica classe: la classe internazionale dei lavoratori.

I lavoratori della Kazova, inoltre, continuano a spendersi anche sul piano della solidarietà.
Solidarietà interna verso i prigionieri politici ad esempio, ma verso tutti i lavoratori che attraversano periodi duri. Sono stati presenti a Soma, a sostegno dei lavoratori e delle famiglie coinvolte nel massacro della miniera. Sono stati vicini al popolo turco nel terribile terremoto che ha scosso la Turchia lo scorso anno. Sul piano internazionale, basti ricordare che hanno confezionato le maglie per le nazionali di calcio di Cuba e di quella Basca-Navarra inviando un chiaro messaggio di sostegno al popolo cubano sotto embargo da oltre 50 anni e al popolo basco che lotta per la sua autodeterminazione.

Hanno con il loro esempio contagiato altri lavoratori che hanno messo in pratica le stesse misure. Fino ad estendere il loro piano d'azione all’occupazione di case per il popolo.

Non sappiamo – e non è questo il problema principale - se la via imboccata dai lavoratori della Kazova sia LA via.
Di sicuro sappiamo che la maggior parte delle strade intraprese negli scenari con cui abbiamo avuto a che fare o di cui abbiamo seguito le vicende, seppur dignitose e degne di rispetto, non hanno affrontato il problema dello sviluppo capitalista e non hanno affondato, neppur minimamente, il "coltello in questa piaga” né tantomeno nel meccanismo che genera la crisi.

L’esperienza di questi lavoratori mette al centro il problema centrale, che sta alla base dello sfruttamento: Produrre sì, ma per chi e per che cosa?


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